Opere d’arte imbrattate per protesta: il fine giustifica i mezzi?

Ennesima incursione da parte dei militanti ecologisti nei musei. Ad essere presa di mira, in quest’occasione, è stata la nota opera di Vincent Van Gogh, “I Girasoli”, nella National Gallery di Londra, ovvero una delle cinque versioni dello stesso tema dipinte dal grande artista olandese, da un valore stimato di 84 milioni di dollari. 

Da non molto, diversi attivisti pro ambiente, hanno dato vita ad un nuovo fenomeno di portata internazionale all’interno dei musei, divenuti ormai luogo di sit-in non autotizzati.

Numerose interruzioni al pubblico servizio piuttosto distintive, avevano infatti già deturpato l’incolumità di alcune celeberrime opere, quali ad esempio “La Primavera” di Botticelli agli Uffizi a Firenze, una statua del Boccioni a Milano, un dipinto di Horatio McCulloch a Glasgow, un altro quadro di Van Gogh al Cortauld Institute of Art di Londra, ed altri ancora.

Si tratta di una campagna di drappelli di attivisti radicali denominata “Just Stop Oil” che da qualche tempo attacca luoghi e trasporti pubblici, che mira a sensibilizzare ulteriormente l’emergenza climatica.

È nata come forma di protesta nei confronti della retrocessione nella politica rispetto all’emergenza climatica imputati al governo Tory Liz Truss, e sulla conseguente dipendenza del Regno Unito dai combustibili fossili, che ha un impatto devastante sul cambiamento climatico. 

Just Stop Oil Van Gogh
“Cosa vale di più, l’arte o la vita?”  -Fonte immagine: nextQuotidiano

In quest’occasione, più nello specifico, le immagini del blitz ed il video del raid alla National Gallery riportati dai media britannici, mostrano due giovanissime militanti che entrano al museo con indosso una t-shirt bianca con la scritta appunto “Just Stop Oil” (Fermiamo Il Petrolio Ora), e lanciano il contenuto di due lattine di zuppa di pomodoro, contro il quadro di Van Gogh, per poi incollarsi al muro con una mano ciascuna, al di sotto dell’opera ormai imbrattata.

Lo scopo alla base di tale gesto, secondo quanto affermato da queste attiviste di seconda generazione (che hanno specificato più volte che la loro intenzione non era quella di danneggiare irrimediabilmente le opere, e che erano consapevoli della presenza di un vetro protettivo che avrebbe custodito l’opera lasciandola intonsa) è proprio quello di dimostrare che, essendo l’arte un simbolo, quando quest’ultima viene attaccata, ci si sente inevitabilmente minacciati, proprio come è minacciato il mondo in cui viviamo, che dovrebbe essere responsabilità di tutti; a tal proposito, l’arte non avrebbe senso, dal momento in cui ad essere minacciata è, ancor prima, la stessa vita.

Dunque si tratterebbe di un’azione volta a suscitare mero scandalo, un modo di fare notizia e farsi sentire a livello globale. 

Di per sé l’atto simbolico, ha avuto il successo di richiamare la questione. 

Ma il fine giustifica davvero i mezzi? Un’attivista per lottare, è realmente autorizzato a minare la salvaguardia di un bene prezioso di 135 anni?

Comunicazione efficace o messaggio distorto?

un messaggio distorto
Comunicazione (in)efficace(?): una lotta dimostrativa o l’ennesima declinazione della manifestazione da salotto?

Certo è vero che bisognerebbe anche pensare al modo in cui arriva un determinato messaggio. In quanto una mossa di tale calibro, potrebbe condurre sotto una cattiva luce, un movimento che ha di base un principio corretto, con il rischio di generare astio ed avversione ulteriore al tema ambientale.

Capiamo bene come l’esasperazione nei confronti di una società che non fa nulla per l’ambiente, ed in cui la risonanza delle parole e della comunità scientifica si è rivelata apparentemente insufficiente per suscitare un cambiamento, porta a questi casi eclatanti.

Ma con questo gesto, saranno riuscite realmente a muovere delle anime a favore dell’impatto sul cambiamento climatico, o al contrario avranno generato solo ulteriore odio e confusione?

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